Se ripenso al mio quinto anno di superiori non posso che rievocare con un mezzo sorriso la frase che permeava in modo trasversale le discipline che studiavo: l'Ottocento è il secolo in cui i punti fermi costruiti a fatica in oltre duemila anni di storia iniziano a crollare. Il secolo a partire dal quale le certezze diventarono dubbi ed i dubbi certezze, diremmo ora. Cito tre personaggini, giusto per la gloria. Ad esser precisi, la prima bomba venne sganciata ancora nel '500 quando un tale di nome Copernico se ne uscì bello come il sole lasciando intendere al mondo intero che l'uomo non fosse al centro dell'universo. Botta numero due, il signorino Darwin, ora sì in pieno '800, che dimostrò come l'uomo nemmeno fosse al centro delle specie animali. Per terzo arrivò Freud, a cavalcioni del suo uccello d'argento, affermando che l'uomo manco era al centro di se stesso. Tre ferite dritte al cuore dell'antropocentrismo più spietato. Tre ferite al piccolo narciso ch'era l'uomo.
Da allora tutto mutò ed a poco servirono le incursioni degli "intelligenti": l'era postmoderna è un susseguirsi di instabilità, di frammenti di individui, azioni, comportamenti e situazioni che turbinano in maniera casuale all'interno di una dimensione spazio-temporale provvisoria. A cosa serve speculare sulla natura dei legami d'attaccamento quando questi poi sprofondano nel container della dimenticanza? A che scopo utilizzare le persone vicine come raccoglitori di nulla? Dove si annida, nell'organismo, questo culto dell'onnipotenza tale per cui ci si sente in grado di controllare gli eventi negando all'altro la carta del supporto? Ma soprattutto, perché ci si comporta come se ci fosse sempre una seconda possibilità? Il mito (o spauracchio, a seconda) del recupero-cancella-mancanza, lo chiamo io. La filosofia dell'eterno studente, per averne un esempio pratico. Quando ci si trova ad un passo dal fallire un obiettivo, ecco che ci si attrezza per sistemare la faccenda alla bell'e meglio. Perennemente in ritardo al traguardo da dimenticare persino a che fine si stia gareggiando. Non esiste l'aver bisogno dell'altra persona, bensì il mero servirsene. Di far progetti, poi, non parliamone. Che comunque credo sia un po' meglio rispetto al costruirli per distruggerli. Tutti d'accordo sul fatto il periodo storico di certo non aiuti, ma... viene così spesso elevato a giustificante da risultare privo di significato, quasi.
Rimane da chiedersi perché l'ossessione di sbagliare partorisca solo falle nel piano originario di una perfezione ideale. Rimane da chiedersi se la sofferenza derivante da un tale stile di approccio all'esperienza germogli silente e poi venga taciuta in maniera più o meno consapevole dall'individuo che la sperimenta.
Correre e correre; anzi, rincorrere. Rincorrere il lavoro, le occasioni, gli eventi; rincorrere gli amici, il partner, la famiglia. Con in testa un disco fisso: se li acchiappo in tempo (utile) mi daranno un'altra chance.