lunedì 28 aprile 2014

Punti di ri-ferimento.

Non che c'avessi mai fatto caso. Appigli a cui rivolgersi oppure speroni a doppio taglio? Magari, e più credibilmente, entrambi.
Se ripenso al mio quinto anno di superiori non posso che rievocare con un mezzo sorriso la frase che permeava in modo trasversale le discipline che studiavo: l'Ottocento è il secolo in cui i punti fermi costruiti a fatica in oltre duemila anni di storia iniziano a crollare. Il secolo a partire dal quale le certezze diventarono dubbi ed i dubbi certezze, diremmo ora. Cito tre personaggini, giusto per la gloria. Ad esser precisi, la prima bomba venne sganciata ancora nel '500 quando un tale di nome Copernico se ne uscì bello come il sole lasciando intendere al mondo intero che l'uomo non fosse al centro dell'universo. Botta numero due, il signorino Darwin, ora sì in pieno '800, che dimostrò come l'uomo nemmeno fosse al centro delle specie animali. Per terzo arrivò Freud, a cavalcioni del suo uccello d'argento, affermando che l'uomo manco era al centro di se stesso. Tre ferite dritte al cuore dell'antropocentrismo più spietato. Tre ferite al piccolo narciso ch'era l'uomo.

Da allora tutto mutò ed a poco servirono le incursioni degli "intelligenti": l'era postmoderna è un susseguirsi di instabilità, di frammenti di individui, azioni, comportamenti e situazioni che turbinano in maniera casuale all'interno di una dimensione spazio-temporale provvisoria. A cosa serve speculare sulla natura dei legami d'attaccamento quando questi poi sprofondano nel container della dimenticanza? A che scopo utilizzare le persone vicine come raccoglitori di nulla? Dove si annida, nell'organismo, questo culto dell'onnipotenza tale per cui ci si sente in grado di controllare gli eventi negando all'altro la carta del supporto? Ma soprattutto, perché ci si comporta come se ci fosse sempre una seconda possibilità? Il mito (o spauracchio, a seconda) del recupero-cancella-mancanza, lo chiamo io. La filosofia dell'eterno studente, per averne un esempio pratico. Quando ci si trova ad un passo dal fallire un obiettivo, ecco che ci si attrezza per sistemare la faccenda alla bell'e meglio. Perennemente in ritardo al traguardo da dimenticare persino a che fine si stia gareggiando. Non esiste l'aver bisogno dell'altra persona, bensì il mero servirsene. Di far progetti, poi, non parliamone. Che comunque credo sia un po' meglio rispetto al costruirli per distruggerli. Tutti d'accordo sul fatto il periodo storico di certo non aiuti, ma... viene così spesso elevato a giustificante da risultare privo di significato, quasi.
Rimane da chiedersi perché l'ossessione di sbagliare partorisca solo falle nel piano originario di una perfezione ideale. Rimane da chiedersi se la sofferenza derivante da un tale stile di approccio all'esperienza germogli silente e poi venga taciuta in maniera più o meno consapevole dall'individuo che la sperimenta.
Correre e correre; anzi, rincorrere. Rincorrere il lavoro, le occasioni, gli eventi; rincorrere gli amici, il partner, la famiglia. Con in testa un disco fisso: se li acchiappo in tempo (utile) mi daranno un'altra chance.

venerdì 18 aprile 2014

Il rifugio mentale dell'eccesso.

Per cominciare. Gerarchia di utilizzo di un telefono cellulare:

  1. perdere in qualsiasi tipologia di gioco;
  2. cincischiare sui social;
  3. craccare "cose";
  4. guardare musica, ascoltare film;
  5. fingere di interessarsi al mondo;
  6. fotografare arrotondando per eccesso;
  7. illuminare ambienti oscuri;
  8. misurare la pendenza delle superfici;
  9. calcolare le kilocalorie di alimenti e bevande;
  10. se rimane tempo, chiamare.

Vengono definiti "nuove dipendenze" i comportamenti d'abuso non direttamente connessi a sostanze dal potenziale più o meno tossico, figli illegittimi del matrimonio d'interesse fra certezza di previsione/controllo e frustrazione d'impotenza. Ad oggi, appartengono alla categoria il lavoro, il sesso, il gioco d'azzardo,lo shopping, internet e... il telefono cellulare, per l'appunto. Tutti sarebbero accomunati dal fatto che il loro utilizzo derivi "dalla necessità di avere un elemento d'appoggio per mantenere un equilibrio psicofisico nelle condizioni di maggiore tensione" (Caretti e La Barbera, 2005), il che permetterebbe all'individuo di dissociarsi, ovvero di modificare uno stato di coscienza ordinario in funzione di una dimensione d'irrealtà in cui sia lecita la soddisfazione di qualsiasi cosa transiti per la testa. Infatti, una volta ampliato l'ambito del possibile, quale limite potrebbe mai ostacolare la fuga verso la libertà? Ma il risvolto paradossale dell'intera riflessione balza subito all'occhio, poiché un dipendente tutto è fuorché libero.
"[...] la nostra società non fa l'apologia del desiderio, quanto piuttosto l'apologia delle voglie, che sono un'ombra impoverita del desiderio [...]." (Benasayag e Schmit, 2003)
Da qui, il che me ne importa di lavorare fino allo stremo se ciò mi permette di guadagnarne in soldi ed autoaffermazione, il tanto ho bisogno del mero svuotamento derivante dal coito fine a se stesso, il adesso un'altra monetina e sbanco la macchinetta, il ma sì è così bello poter pagare a rate qualsiasi acquisto anche se è superficiale, il la rete è la mia nuova casa e qui mi sento al sicuro perché posso non mostrare ciò che sono veramente, il ormai chiamare non va più di moda e sarà meglio che ti mandi un emoticon. Surrogati. Fantocci. Vuoti che riempiono altri vuoti.
Gli studi neuropsicologici sono quelli che forse meglio illustrano il fenomeno della duplicità dell'eccesso, nonostante abbiano poco a che vedere con l'argomentazione precedentemente esposta. E' però possibile considerare il fatto che anche il paziente dipenda da qualcosa, ovvero dalla propria condizione; essa lo costringerebbe ad agire in modo compulsivo verso uno scopo, anche laddove privo di significato. Penso, per esempio, all'insieme situazionale che abbraccia alcuni malfunzionamenti come l'ipercinesia, una condizione nella quale la produzione di materiale sovrabbondante talvolta sfocia in passioni violente.
<<"Pericoloso benessere", "luminosità morbosa", un'euforia ingannevole sotto la quale si spalancano abissi: è questa la trappola promessa e minacciata dall'eccesso, tesa a volte dalla Natura, sotto forma di una qualche turba inebriante, a volte da noi stessi, sotto forma di una qualche esaltante tossicodipendenza.>> (Sacks, O.)
Alla stregua di una malattia che alteri in positivo il comportamento abituale di un individuo, per esempio accelerando i meccanismi del pensiero e dell'azione, così anche un oggetto oppure una sostanza possono accrescere nella persona l'impressione di meraviglioso benessere e ritrovata pienezza dapprima assopite in non-si-sa-quale angolo della personalità. Sensazioni che solo a posteriori tenderebbero a svelare le componenti di pervasività e distruttività tipiche della dipendenza, la cui arma di seduzione consiste nella prospettiva di un annichilimento delle immagini mentali conflittuali non rappresentabili sul piano cosciente.

Non so voi, ma io non sono così sicura di voler stare "troppo bene".