venerdì 25 luglio 2014

Monocromia.

Quest'anno l'estate non ne vuol sapere d'iniziare, né al di fuori né dentro di me. Ciò che vedo è un unico immenso pervasivo grigiume. Dicono che per vivere a colori siano necessarie le emozioni. DICONO.
Ho trascorso undici anni della mia vita, dall'adolescenza ad oggi, cercando di affrontare in modo autonomo ogni situazione, specialmente le meno piacevoli. Ed ora, pare che gli aiuti mai richiesti stiano bussando alla porta per presentarmi il conto. Ed ora, pare che le barriere costruite tra me e l'esterno stiano collassando una dopo l'altra. Perché l'unico modo che le persone fragili possiedono per sopravvivere è quello di ostentare sicurezza, padronanza di sé e del proprio vissuto. In tal misura, diviene più semplice aiutare gli altri, garantire loro il supporto di cui hanno bisogno, dimostrare presenza e prontezza all'ascolto, rispetto al sostenersi. Un meccanismo che ti migliora in funzione dell'altro da un lato, ma che ti allontana dal contatto con le sfaccettature peggiori della tua personalità. Sapete qual è la maggior consapevolezza di ogni persona che studi psicologia? L'idea secondo la quale rifugiarsi nei problemi altrui sia l'unico modo per sfuggire ai propri, una forma d'utilizzo della sofferenza dell'altro come scudo ai più profondi dilemmi di chi presta aiuto per professione. Del resto, sorreggere qualcuno è dimenticarsi, è mettere a tacere quel brontolio emotivo tanto disfunzionale alla neutralità. Tuttavia, il rischio in cui s'incorre è venire risucchiati nel vortice della coartazione emozionale; almeno fin che regge il teatrino. Pagherei per ridiventare la persona cui tutto scivolava addosso, quella distaccata e senza alcun timore; peculiarità, forse, di un'età che più non torna.
La realtà è che, come tanti, sono ormai un'accozzaglia di esperienze miste a posticipazioni e rimpianti, un grumo inscioglibile di passato, presente e futuro che sguazza in una pozzanghera d'incertezza.
Ogni individuo è i propri traumi e, per quanto ci si possa impegnare a dissimulare, non trascorrerà istante in cui ciò non traspaia, il più delle volte andando ad intaccare i gracili equilibri dei legami. Spesso, per esempio, siamo così ottusi nel perseverare nella quantificazione dei momenti da non considerare il fatto che l'attimo trascurato potrebbe essere il più significativo di tutti; il più necessario di tutti. Vivere per accumulazione, costantemente, in funzione del tempo che ci consuma. Mi si spieghi perché passiamo giorni, mesi ed anni a deludere e ad essere delusi dagli altri, come mai siano i piccoli screzi a mettere in discussione i grandi progetti, perché la considerazione di chi ti odia sembri superare quella di chi ti ama. Quando rassegnarsi di fronte all'evidenza del crollo delle aspettative diventa la strada maestra verso l'accettazione, vieni portato a pensare che più amore si possa provare e più dolore si riesca a provocare.
Eppure, in tutto ciò, rimangono quelle mirabili-magnifiche-meravigliose frasi da manuale appiccicate alla bell'e meglio e che ti fanno sentire importante, la semplicità con cui ti prodighi in consigli quando di fronte non hai altro che cloni di un ideale di normalità da te poco dissimili.
Non intendo dilungarmi oltre; scrivere quest'articolo mi ha reso sufficientemente infelice.

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