lunedì 21 luglio 2014

Chi sono io? Tata Lucia!

In queste prime tristi giornate da universitaria post-sessione mi vedo sprecare il tempo piantonata davanti alla tv, un'attività che, per inciso, detesto. Ultimamente mi sto imbattendo in uno di quei programmini che visti una volta ne entri in dipendenza": SOS TATA. Ah, che bellezza! (Che poi a uno viene da chiedersi se tata Lucia non si sia ancora ritirata a miglior vita). Un reality arcinoto con buoni livelli di share ed ascolti, stando ai dati e al numero delle edizioni: ben otto, dal 2005 ad oggi. In soldoni, a ruota una delle tre Melanie Klein della situazione approda in un nucleo familiare più o meno disastrato avendo a disposizione una settimana per tentare di ristabilire ordine e armonia. Concettualmente molto bello ma praticamente improbabile, nonostante non siano proprio tutte baggianate quelle partorite nel corso della "missione" di salvataggio. Forse che il successo risieda nel bisogno dello spettatore, soprattutto se genitore, di dare uno scossone alla bagarre quotidiana? Prologhi a parte, la citazione risulta comoda se l'obiettivo è quello di parlare di sistemi educativi e, in particolare, di sistemi educativi paterni. Non che la mia sia una posizione polemizzante bensì marcatamente critica nei riguardi del modello madre-statica/padre-mobile. È pur vero che «i vincoli strutturali, la forza delle tradizioni, dei valori e delle norme presenti nel contesto sociale, contribuiscono potentemente a definire le identità genitoriali e quindi a tenere il ruolo paterno ancorato a vecchie concezioni» (Venuti, 2007) ma, come spesso accade in psicologia, il tentativo di spiegazione scade nella giustificazione. E, dal momento che non sempre risulta esser chiaro cosa sia l'una e cosa sia l'altra, diventa facile attribuire in modo erroneo giudizi di valore, positivi o negativi che siano.
Nel 2014 penso sia lecito chiedersi, per esempio, il motivo della permanenza di disomogeneità nella distribuzione del lavoro familiare e nelle pratiche di gestione dei figli, oppure il perché di privilegi domestici così marcatamente riservati agli uomini. Ma, se vogliamo, questo è il fatto minore se confrontato con le disparità che sorgono nell'ambito dei comportamenti di cura dei figli, contrariamente al fatto che i ruoli di padre e madre siano intercambiabili. Che io sappia, ancora non esistono evidenze (neuro)biologiche che supportino la maggior specializzazione delle madri a cambiare i pannolini. Il problema, inoltre, sembrerebbe radicato nell'idea originaria che una relazione padre-bambino positiva si strutturi alla stregua di una conseguenza del rapporto diadico madre-bambino, come se il padre non potesse interagire con il figlio a meno che la madre non faccia da tramite. In questo modo, la diade padre-bambino non sussisterebbe in quanto tale bensì in quanto triade, forse ostacolando l'analogo processo di attaccamento del bambino nei confronti della figura paterna.
D'altro canto, è pur vero che madri e padri prediligano svolgere attività diverse con i propri figli: se da un lato abbiamo una madre attenta alle dinamiche socio-emotive, dall'altro abbiamo un padre magari più preoccupato a trasmettere aspetti come competitività e approccio vigile al mondo. Alcuni studi dimostrano, per esempio, che le donne tenderebbero alla "padronanza" mentre gli uomini alla "prestazione" e non è difficile immaginare siano proprio questi, rispettivamente, i modelli trasmessi alla prole. L'unica spiegazione che poi mi sento di dare rispetto alla primordiale concezione del "padre-padrone" è connessa all'attitudine dei padri alla parità di genere; semplice. Al diminuire di quest'ultima crollano sia il grado di responsabilità nei comportamenti di cura sia il livello di monitoraggio dei figli.


Ora, per concludere, mi piacerebbe fosse tata Lucia a rispondere ad un quesito nato in seno alla psicologia sperimentale: perché i padri sono più interattivi con il proprio bambino e manifestano un maggior dinamismo quando le loro mogli sono casalinghe?

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