martedì 27 maggio 2014

Il numero due si rallegra di essere singolare.

Furbi gli esseri umani: si raccontano sempre un mucchio di graziose favole che hanno il merito di fare da toppa alle voragini d'incongruenza insite in loro stessi. La mia preferita è senz'altro quella che sostiene che uomini e donne siano fatti (?) per stare insieme. E chi lo dice, la biologia? Ma se non le date mai retta, a 'sta crista di verità incompresa. A meno che non faccia comodo, per l'appunto. Alla luce del raziocinio è evidente come il valore dell'obiettivo comune sia di gran lunga inferiore rispetto al peso conferito agli affari privati. Il conflitto d'interessi tra uomo e donna si configura come una netta linea di demarcazione che, inevitabilmente, scinde ciò che è/ha il maschile da ciò che è/ha il femminile. Alla facciaccia di Jung e dei suoi Anima ed Animus, una concettualizzazione che pur reputando molto romantica e ben costruita comunque non riesco a concepire. Sicuro è che ci sia del maschile nel femminile e viceversa, anche se io preferisco chiamare tali entità Androgeni ed Estrogeni. Ok, forse i termini non sono sognanti come quelli junghiani, ma di certo rendono meglio l'idea. Che poi, cristoiddio, è meravigliosa questa immagine di uomo e donna che incontrano in loro stessi la proiezione del sesso opposto, la cui non-conoscenza genera sconquassamenti nel delicato meccanismo dell'individuazione. C'è però un lieve intoppo poiché questo è un mero desiderio.
Agli uomini non interessano cose stupide come farsi una fotografia con la ragazza, confidare le proprie inquietudini, non dare per certe questioni che non sarebbero scontate nemmeno ai saldi di fine stagione. E le donne mica si preoccupano di sport e motori, di doversi far sopportare dal compagno, di dividere l'infinito in settimane e poi di quantificarne ogni momento trascorso. Se ci fosse del maschile nel femminile e viceversa saremmo tutti più completi ed affini, meno persi nelle battaglie quotidiane off-limits per l'altro, meno concentrati sulle priorità che ci escludono a vicenda. Invece no, si persevera nella domanda "come stai?" e si desiste nell'ascolto della risposta. Il niente la fa da padrone nei dialoghi mentre la morsa della routine attanaglia la rosa dei venti mentale, producendo una sistematica perdita d'orientamento.


Serenità ed entusiasmo diventano così la escort ed il gigolò che ti affanni a trovare, degli accompagnatori spirituali a cui nulla chiedi di materiale se non un fantoccio di vicinanza che, pur sapendo artificioso, pensi riesca ad attutire quell'idea di solitudine che va peregrinando in testa. Ma si sa, la maggior parte delle scorciatoie sono un'arena di fallacie spesso definitive, definenti, definitorie. Allora, che fare? Ed io cosa ne so, ancora non ho scritto in fronte Manuale Delle Risposte. L'unica consapevolezza che detengo è che uomini e donne (ri)cerchino nella diversità gli elementi mancanti dimenticandosi come la complementarietà non sia sufficiente alla pienezza del Noi, che come ad essa serva anche un pizzico di specularità. Del resto, la totalità circoscrive due diversi che convergono e due uguali che divergono.
Furbi gli esseri umani: frequentano sempre i simili che più sono in grado di farli stare da schifo. Tendenza patologico-masochistica? Può ben darsi. D'altra parte, tutti un po' lo siamo. Dipendenti, intendo. E ci piace pure! Contrariamente, sceglieremmo peggio i nostri contatti.

martedì 6 maggio 2014

Infatuazione.

Senti senti come suona bene questo termine! Di gran lunga meglio rispetto a, non so, "sbandata", "fanatismo" oppure "invasamento". Bislacco come le parole riescano a strutturare i differenti mo(n)di per mezzo dei quali l'individuo filtra la realtà. Intrigante, eppur tutt'altra storia.
Si sa, l'adolescenza è il periodo principe per gli esperimenti amorosi, anni in cui esiste un'unica concettualizzazione: io. Ovviamente declinato in "me", "mi" e "mio"; ma anche ciò va da sé. Oggi sono in vena d'introspezionismo manifesto ed è per tale ragione che voglio rievocare le mie infatuazioni giovanili che, per inciso, sono una peggio dell'altra. Tralasciando i mali minori, persi la testa per... Numero uno: il Professore! Numero due: la Musica! Numero tre: il Freudismo! Che mi abbiano accompagnata ed aiutata nelle fasi di transizione è assodato; infatti, il mio obiettivo non è parlarne chiave negativa, bensì farne una parodia. Andiamo, sarà divertente.

Se smettessi di accordarlo, scorderei anche il primo amore.
Partiamo dal classicone: invaghirsi del prof. Sfido qualsivoglia fanciulla a confutare l'ipotesi secondo la quale almeno una volta nella vita scolastico-accademica non ci si sia smarrite nei fumi dell'innamoramento proibito. Nella maggior parte dei casi tacito, in altri (!) un po' più plateale, è il climax ai cui due estremi si collocano l'ebetismo e la disfatta. Peccato, un vero peccato, capirlo solo a posteriori. E poi, cosa dire di tutti i tentativi messi in atto da chi intorno a te "ci tiene" e che mai vorrebbe vederti soffrire a causa di un amore respinto così inopportuno? Suvvia, come se l'innamoramento tra pari fosse meglio e venisse sempre ricambiato. Allora, la domanda pare trasformarsi da "perché?" a "perché no?". Di certo, la sperimentazione di un sentimento associato a qualcosa di sì irraggiungibile eppur concreto aiuta ad aprire gli occhi molto presto, ad affrontare la metafisica del rifiuto.
Ma come siamo seriosi! Non era questo l'intento. Ritorno sui binari dell'insensatezza.

L'ex a cui concedo di rimanere in buoni rapporti.
Storia-travaglio per antonomasia, il mio rapporto con un molto bianco e poco nero: il pianoforte. Credo con lui abbia trovato espressione il lato masochistico della mia personalità, dico davvero. Avete presente, no? Glorificare l'aguzzino, o qualcosa del genere, insomma. Sottomettersi all'entità che è la fonte di tutti i dispiaceri nello stesso modo in cui è la sorgente di tutti i piaceri che sei in grado di provare. In psicologia, la chiamano "dipendenza" (o sarebbe meglio dire, disturbo dipendente di personalità?) e credo da sempre sia la peggior forma di annullamento di se stessi. Esistere in funzione di qualcos'altro all'infuori di te; in altre parole, non esistere affatto. Otto anni di una relazione che amo ricordare ma che preferisco abbia smesso di essere la mia gabbia d'oro su misura.
Sono diventata proprio una specialista nelle interpretazioni a posteriori!

Il falò dei ricordi e la grande x rossa su una relazione fallimentare. 
Ho provato a dilungarmi ed avrei voluto che questo momento non arrivasse, ma...è impossibile procrastinare ancora. Terzo infelice passo della mia gioventù che intitolerei: Freud, l'origine dei rimpianti presenti e la fine dei rimorsi passati (per inciso, il futuro è nero). Ah, che disgrazia! E' proprio vero che non puoi che odiare ciò che hai amato, difeso e protetto con tutte le forze una volta che questo abbia deluso ogni aspettativa, infranto ogni progetto di una vita insieme. Il freudismo era l'amante perfetto, la risposta a qualsiasi domanda e la soluzione a qualunque problema. Il coerente ossimoro che vive: spaccone ma affidabile, individualista ma presente, divino ma dimesso. Quanta felicità tra le sue braccia, forse troppa per non insospettirsene. Non c'era un quesito dinanzi al quale fuggisse, una spiegazione che non trovasse, una giustificazione migliore che spingesse oltre i limiti della comprensione. L'alfa e l'omega, il rifugio, la verità. Un giorno, ahimè, scoprii che mi tradiva. Fu un'idropompa, altro che doccia fredda. Il volto dell'onestà altro non era che un misogino, omofobo, fallocrate, cocainomane, morfinomane, affabulatore, impostore, negazionista, tiranno, corrotto e privilegiato del cazzo.
Anche se c'insegnano non sia così, i regni crollano al dissolvimento dei seguaci e non alla morte dei sovrani.
I miei amori passati non hanno mai riempito nulla, se non fazzoletti e bicchieri. Confido negli attuali; concreti o concettuali che siano.