giovedì 26 febbraio 2015

Cambiamento: croce e delizia.

Mi presento: Baratti Greta, neolaureata triennale in Psicologia Cognitiva, profondamente insoddisfatta del corso degli eventi ed in attesa di una svolta, di qualunque tipo essa sia.
L'essere umano è tarato per cambiare; non potrebbe essere altrimenti dal momento che è il sistema nervoso stesso ad essere tarato per cambiare. Reduce da infiniti approfondimenti in ambito di plasticità cerebrale, mi sembra accettabile l'idea di stenderne un tributo, in questa sede. La neuroplasticità in una parola? Possibilismo. Uno fra tutti, un interessante spunto di riflessione mutuato dall'umanista Lina Bolzoni, un commento per me affascinante ed insieme potenzialmente pericoloso: se eravamo abituati a pensare al binomio natura-cultura come alle due polarità rispettivamente condizionanti e liberatorie per l'essere umano, ora sembrerebbe essere la natura, mediante i meccanismi della plasticità cerebrale appunto, a rappresentare l'estremo potenziale di massima espansione per l'essere umano. Per essere più espliciti, la neuroplasticità è la possibilità che il sistema nervoso cambi dipendentemente dagli stimoli derivanti dall'ambiente. Ma "cambiamento" è un concetto passibile di un'ulteriore specificazione: il sistema nevoso si modella, si riconfigura, si adatta e, perché no, si auto-ripara (compensando alcuni deficit nel miglior modo possibile) in presenza di un'adeguata stimolazione ambientale. Asserire che qualcosa si modifichi a livello di sistema nervoso significa affermare che tali cambiamenti avvengano sia a livello organico (per esempio, neurochimico) sia a livello sistemico. Eccezionale, dal momento che fino a pochi anni addietro si pensava che il sistema nervoso fosse costituito da cellule perenni ed immutabili destinate a perdurare quanto il loro involucro animale. Rischioso, se bastasse una semplice scarica di impulsi di una qualche natura ad influenzare le multidimensioni dell'essere umano: basti pensare alla possibilità che la personalità inizi ad oscillare e ad essere meno stabile, poiché sensibile ad ogni minima variazione esterna. Curioso che gli individui siano in tal modo devoti alla fissità del proprio agire e pensare quotidiano quando, per natura, sarebbero invece predisposti alla mutevolezza. Curioso ma non atipico, dal momento che per l'individuo sono le abitudini la principale guida d'interazione nei confronti dell'ambiente. Perché, signori, siamo capaci tutti ad affermare quanto sia bello cambiare e che cambieremmo volentieri parte delle nostre vite, eppure rimaniamo immobili; latitiamo.

A mio avviso, è possibile che sia il cambiamento, però declinato in forma diversa, il reale ostacolo, un Uomo Nero personalizzato per ogni fase di sviluppo. Prescindendo dall'infanzia, il periodo di piena potenzialità dell'individuo in fase d'accrescimento, focalizzerei l'attenzione sull'adolescenza, sull'età adulta e sull'età senile. Durante l'adolescenza, penso che sia il cambiamento guidato, consapevole oppure inconsapevole, la concreta difficoltà da superare. Guidato da chi? Da tutto ciò che comunemente viene accolto sotto l'etichetta del "Super-Io"; ovvio. Le norme a cui conformarsi, i canoni d'accettabilità sociale e gli insegnamenti parentali, ne sono solo alcuni esempi. "Sii un bravo adolescente", sembra dicano beati in coro. Durante l'età adulta, è il cambiamento selettivo, rigorosamente consapevole, l'ardua battaglia quotidiana. Da qui, gli infiniti rimuginii sul come sarebbe andata laddove, sul cosa dovrei fare affinché; in che modo dovrei comportarmi per, come sarei se. "Fare finta di cambiare mentre resta tutto uguale", recita una canzone. Infine, durante l'età senile, ecco il cambiamento imposto, inconsapevole e tiranno. Inutile elencare le numerose modificazioni a cui è soggetto un sistema nervoso anziano, fisiologiche o patologiche che siano, una volta ormai giunti all'estremo della parabola dell'esistenza. In quest'ottica sembra non esserci spazio per un percorso di maturazione scevro da variazioni, o meglio, da variabilità.

Finora ho sempre parlato di sistema nervoso riferendomici in connotazione generica, ma avrei dovuto specificare che i fenomeni di plasticità avvengono a livello cerebrale, corticale e sottocorticale. Ad oggi, gli studi sul potenziale neuroplastico dell'essere umano si snodano in più direzioni: lavori rispetto ai fenomeni di riorganizzazione successivi ad amputazioni, acquisizione di abilità e plasticità maladattiva per quanto concerne le cortecce motoria e somatosensoriale, ricerche applicative in ambito rieducativo peculiari per deficit fase-specifici (dislessia evolutiva, paralisi cerebrali infantili, lesioni cerebrovascolari, trauma cranio-encefalici, malattie neurodegenerative). Un'accattivante mole di dati, se vogliamo, che converge in un ancor più seducente obiettivo conoscitivo: se sia possibile o meno manipolare i cambiamenti, indurre oppure arrestare modificazioni di varia natura, migliorare o, nella peggiore delle ipotesi, peggiorare lo stile di vita dell'essere umano. E' vietato tuttavia incorrere nelle ambizioni totalizzanti di matrice comportamentista, pie illusioni di creare nuovi soggetti ad hoc mediante tecniche di condizionamento a più livelli. Tutti sanno che non è possibile; tutti sanno che ciò trascenderebbe i presupposti dell'etica; tutti sanno che sarei altrove se fosse accaduto qualcosa di simile.
E qui si aprirebbe un altro universo, il dilemma se sia giusto oppure sbagliato intervenire sul cervello degli individui, se sì in che modo, per tutti o solo per alcuni, cosa ne sarà di anziani infiniti e "super-bambini", se eviteremo di accendere il televisore per paura di essere soggiogati, rischiare con una terapia della parola, immolare il caso all'azione dei farmaci psicoattivi, eccetera, eccetera, eccetera, in un estenuante e spasmodico inseguimento di ciò che rimane di noi stessi.