mercoledì 30 novembre 2016

Tante care cose.

Sono vergognosa. Un anno senza scrivere minchiate; ho davvero rimesso la testa al proprio posto. Purtroppo, la conseguenza di aver riparato un qualche ingranaggio, il prezzo di aver oliato il sistema, è stata il reset delle idee; delle migliori, almeno. Per un lungo periodo mi si è rammollita la tempra cinica e, senza di lei, nulla aveva il senso di essere scritto. Ma ora sono tornata, più io che mai, rinnovata nella Forza dell'invettiva.
Per recuperare l'intimità perduta con il pennone virtuale, inizierei con uno screenshot:

Il perfetto esempio di cosa sia una specificazione inutile ed inefficace, un'alzata di bacchetta fuori tempo che sfasa l'entrata degli ottoni, in orchestra. In questo caso, per quanto possa condividere la battaglia alla scontatezza, il bisogno di puntualizzare tradisce un substrato culturale incasinato, non più in grado di manipolare i concetti e le idee fondanti dell'individualità. Penso sia assurdo che ancora si debba manifestare per il diritto ad essere atei, ad essere omosessuali, ad essere produttivi, ad essere liberi di gestire i propri genitali, ad essere donne. Forse sbagliamo a chiamarli diritti, soprattutto se appiccichiamo loro etichette come umani o naturali; altre specificazioni sterili ed incerte. Ci crucciamo nel tentativo di imbrigliare la complessità aggiungendo, o addiruttura inventando, "targhette", con la convinzione di guadagnarne in termini di immediatezza. Qual è il risultato di questo turpe lavoro? Allontanarsi dall'idea maxima e lasciare si disperda nella nube delle precisazioni. Sfiderei a non essere confusi; al di là dell'opinione politica, che sia una riforma, un cartello appeso nei peggiori bar di Caracas oppure un qualsiasi elemento sul quale andrà a porsi, anche involontariamente, la nostra attenzione.
Per gli italiani veri: andate, anzi, fiondatevi a votare.
Per i fortunati italiani all'estero: andate, non "mandate" a votare.
Per i dimenticati studenti fuorisede: c'è chi voterà per voi (uhm).