martedì 6 agosto 2013

Nei pressi della morte.

Se vi contraddistingue la tendenza (anche lieve) alla superstizione, almeno una volta nella vita vi sarà capitato di augurare le peggio cose a persone che, per un motivo o per l'altro, vi hanno arrecato un qualche danno. Nel più estremo dei casi, potreste aver bypassato la stazione comune di "Quel Paese" ed aver spedito le vostre vittime dirette in bocca alla morte.
Quasi nessuno s'è fatto originale, augurando all'altro un attacco di panico.
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Succede che quando desideri ardentemente qualcosa, lo strazio derivante dal mero sfiorare sembra amplificare il bisogno del voler possedere. Così accade che l'assaggio della morte magnifichi la consapevolezza insita in ognuno di noi d'esser presenza di passaggio, sulla faccia della Terra. Non esiste nulla di peggio dello sperimentare la possibilità della morte ed ogni volta uscirne sì illesi fisicamente, ma disintegrati mentalmente. Cos'è quindi un attacco di panico se non un fugace accesso alla scomoda verità di essere mortali?
Non sorprende che i disturbi d'ansia siano una tra le diagnosi più comuni nella psicopatologia e che comportino (per esempio, negli Stati Uniti d'America) costi molto elevati, in termini economici per la società e di sofferenza per le persone che li manifestano. Dal punto di vista descrittivo, si caratterizzano per livelli d'ansia e di paura (dipendentemente dalle specificità di ogni disturbo) sopra la norma. In quanto frutto di attivazione psicofisiologica differente, è utile distinguere l'ansia dalla paura; nel primo caso, l'arousal è infatti moderato e induce irrequietezza oppure tensione, mentre nel secondo elevato con sintomi quali sudore profuso e difficoltà respiratorie. Entrambe le reazioni possiedono un importante valore adattivo garantito dall'azione del sistema nervoso autonomo per mezzo della divisione simpatica; se la paura ci avvisa di un pericolo imminente a cui opporsi con la lotta o, al contrario, dal quale fuggire, l'ansia ci permette di prevedere, individuare future minacce, consentendoci di affrontare oppure di evitare situazioni potenzialmente pericolose. In modo intuitivo si capisce come il non riconoscimento di attivazioni di questo genere possa condurre al mantenimento di circoli patologici che traggono alimento da convinzioni, stati mentali, che non rispecchiano la realtà. Se, per esempio, non sono in grado di riconoscere la risposta fisiologica d'ansia successiva ad una determinata situazione, tenderò ad interpretare le reazioni del mio organismo in modo distorto, compiendo un errore metacognitivo d'attribuzione del significato. Ciò non fa che aumentare la percezione del pericolo, dell'imminenza del potersi trovare nella situazione x tanto temuta che si è cercata di allontanare con ogni mezzo disponibile. Alla basa, perciò, vi è la mancanza di una viscerale alfabetizzazione emotiva al riconoscimento dei propri stati interni.

Il fobico, da intendersi quale strutturazione di personalità, o Organizzazione di Significato Personale in chiave costruttivista, si impegna in una serie di strategie che permettono lui di salvaguardarsi da uno o più eventi considerati distruttivi a prescindere dalla loro concreta essenza. L'illusione di poter controllare ogni situazione spiacevole fa perno su di un'esagerata considerazione di sé in termini di auto-efficacia: se, per esempio, sono convinta di riuscire ad evitare l'evento x, pur ingovernabile, nulla servirà a rendermi consapevole dell'inefficacia del mio agire su di esso. Così facendo, il fallimento non potrò che attribuirlo alla mia incapacità personale, al "non avere fatto tutto il possibile". Questo fa da incipit ad un logorio mentale senza tregua, rimuginio il cui risultato aggrava la già precaria condizione dell'individuo che ne sfrutta le potenzialità. Da qui diparte poi la tendenza a visualizzare unicamente il lato negativo dell'esperienza, con previsioni catastrofiche circa le proprie incolumità e sopravvivenza.
La crisi di panico è, pertanto, un miscuglio di travisamenti concatenati che conducono alla percezione di stare-per-morire, ivi sorretta dalle sensazioni di un corpo che si attiva esageratamente per far fronte ad una fonte di stress alla cui costruzione partecipa anche (e soprattutto) l'individuo.
Sembrerebbe proprio il caso in cui "chi è causa del suo mal pianga se stesso".

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