giovedì 19 settembre 2013

Finirà.

Sono ormai giorni che trascorro a riflettere sul ruolo giocato dai legami, nella mia vita fino ad oggi; giorni in cui non ho potuto che interpretare i nuovi alla luce degli storici, spiegare determinate esperienze grazie a scontati riferimenti a vicissitudini pregresse. Immaginabile, sono giunta ad un punto di così tale sovraffollamento di pensieri, da sentire viscerale il bisogno di buttare giù qualche riga, onde evitare l'implosione. Devo, infatti, il mio equilibrio mentale alla propensione che nutro spontanea per la scrittura, meraviglioso strumento d'accomodamento al caos.
A prescindere dai rapporti familiari, più o meno stabili a seconda del periodo, due sole sono le persone che hanno snocciolato la loro presenza lungo l'intero arco della mia giovinezza; se non fisicamente, di certo a livello d'ininterrotto appiglio alle loro immagini. Un uomo e una donna, gli unici davvero significativi, che hanno impreziosito gli anni consapevoli del mio cammino verso l'età adulta. Seppur con modalità differenti, agendo taciti o palesi, sono riusciti a rendersi presenze irremovibili, cui manco l'allontanamento avrebbe tolto loro il ruolo. A posteriori, è proprio ciò che non mi hanno saputo dare il fattore che m'imbriglia nel ricordo, tutte quelle mancanze che mi costringono ancorata al passato e che ostacolano il mio completo ingresso nella vita relazionale adulta. L'eterna insoddisfazione verso gli uomini, l'assiduo tentativo di costruire legami irrealizzabili, la voglia di scoprire carte e cartine con persone che nemmeno osano prendere parte alla partita. Perché esporsi è pericoloso, ed il rifiuto un cappio attorno al collo dell'intraprendenza. All'alba dei 22, mi conosco; familiare è quest'anelito alla complessità, perennemente a caccia di situazioni capziose, barocche oserei dire. Spesso, mi sembra d'essere un polo d'attrazione, magnete per gli inibiti. Del resto, che gli opposti s'attraggano è vero solo in parte e, specialmente, nella patologia. Per es., un dipendente è quasi sempre sulle tracce di un (tendenzialmente) autonomo, così come un masochista coltiva amore smisurato per il (tendenzialmente) sadico della porta affianco. Ma tra individui "sani", per cui difficili sono classificazioni ed etichettature, il processo s'inacidisce; il diverso veicola ribrezzo, nonostante la biologia tenda a premiare gli individui che più si discostano l'un l'altro, tenendo fede alla di entrambi costituzione genetica.
La verità è che i rapporti importanti lasciati imputridire nell'indifferenza mai s'esauriscono, come le carni, cullati dal tempo che ondeggia tiranno. Bensì, succubi d'un eterno miasma, s'alimentano delle esperienze che ivi sacrifichi per loro, nella morsa d'un potere che stordisce. Come già detto, è preferibile l'assenza all'ambivalenza, poiché prevedibile. E lo sostiene una persona che ha sempre galleggiato nella doppiezza del comportamento altrui, nel non-definito, in quel lasciato intendere di continuo dato per scontato.
Enigmaticità che, di certo, rende chi la manifesta più "misterioso" ed "intrigante", ma al contempo, miete vittime ad ogni incursione nel mondo reale.

2 commenti:

  1. l'enigmaticità miete vittime? L'enigmaticità è parte della natura umana, del nostro essere mutevoli, fautori e vittime, al tempo stesso, del nostro destino. Una comprensione di se (intesa come un cammino continuo di ricerca, e non come uno stato finale da raggiungere) è solo il primo passo pe un sano rapportarsi agli altri: dobbiamo infatti riscoprire la capacità di immedesimazione se vogliamo, se non comprendere, almeno accettare l'altro, amico-amante-collega o sconosciuto che sia. Ma in quest'epoca nata all'insegna dell'informazione, tendiamo solo ad esporre noi stessi, come fossimo merce: come possiamo allora pretendere di essere trattati come persone? Solo attraverso un "sano" (da non confondersi, necessariamente, con "buono") rapporto con gli altri possiamo, come uno specchio, conoscere noi stessi

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  2. Che ci debba essere un rapporto d'interscambio, tra le persone, è assodato; contrariamente, a nulla ci varrebbe il titolo di "animali sociali". Per il resto, l'ambiguità a cui faccio accenno è una condizione intesa quale estremo lungo un continuum che al lato opposto vede l'evitamento. Poco o punto c'entra con la multidimensionalità dell'essere umano che, come te, concepisco mutevole e sfaccettato.

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