lunedì 2 dicembre 2013

Elettra mia, bimba adorata.

[…]

La cicala sull'albero è muta,
s'è svegliata l'intera borgata,
tutti sentono la serenata
che papà sta cantando per te.
L’acqua del fiume arriva dal mare,
se la mia voce ti arriva lassù,
papà stasera ti chiede scusa
se non t'ha dato qualcosa di più.

[…]

(Musiani, E. – Lauretta mia)

Non è la prima volta che cito la mitologia greca; in questo caso, il riferimento vola ad Elettra, figlia di Agamennone e Clitennestra. Il mito racconta che Clitennestra, invaghitasi del giovane Egisto, istigò quest’ultimo a macchiarsi di omicidio, contribuendo lei stessa all’uccisione di Agamennone. Elettra, turbata e sconvolta per la morte del padre, convinse Oreste, uno dei suoi tre fratelli, a vendicare l’affronto subito, ripagando la madre con la stessa moneta. La missione venne scortata anche da Pilade, figlio di Anassibia sorella di Agamennone, il quale venne infine sposato da Elettra.
Il mito fu ripreso da Freud cosicché servisse d’analogo al più celebre mito dell’Edipo re e, da qui, il "complesso di Elettra", secondo Jung definibile come il desiderio della bambina di 3–6 anni di impossessarsi del pene di cui si sente mancante, entrando così in competizione con la madre sia per averla concepita senza pene sia perché è l'ostacolo che si interpone tra lei ed il padre, suo obiettivo sessuale principale.
Areno temporaneamente l’argomentazione e riporto qualche aneddoto di matrice autobiografica.

Non sono un maschiaccio, ma.
All’asilo ero la bulletta dei Grandi; sotto il grembiulino mai che avessi una gonnella. Possedevo un Cicciobello a cui ho fatto patire le pene dell’inferno; una Barbie sottomessa al volere di Ken, Goku, Action Man ed all’amante biondo delle Bratz. Il primo bacetto lo diedi ad un tale di nome Mattia che, badare, avevo finito d’insultare un attimo prima. Avevo per amicheseguaci due gemelline dai capelli d’oro a caschetto ed un’orda di bambini che si compiacevano di compiacermi.
Alle elementari rincorrevo maschi e femmine indistintamente; ho perso il conto degli spintoni dati e ricevuti. Amavo il Milan, collezionavo personaggi Dragon Ball, macchinine e mattoncini LEGO; giocavo a GTA, Mortal Kombat e Gran Turismo, avevo il pallone sempre appiccicato ai piedi, odiavo le femminucce che andavano a cucito all’oratorio o che galleggiavano nell’aria dopo aver saltato la cavallina. Io, l’oratorio, lo raggiungevo unicamente per i videogiochi, il campetto di calcio e lo scivolo in mezzo alla fanghiglia. Sparavo all’Ultimo con la scacciacani e mi piacevano micce, micette, razzi e razzetti. Sognavo di essere un personaggio dei cartoni animati e d’insinuarmi così nel cuore della mia maestra prediletta. Avevo molte amiche che si sbalordivano che preferissi coltivarmi degli amici. Iniziai a ricevere frasi in sospeso e corteggiamenti ancor meno che taciti; un doppio lavoro interpretativo già dal principio. Per tutti ero “La Bara” e quando “La Bara” arrivava minacciosa con lo sguardo rivolto nella tua direzione, allora sì che potevi considerarti nei pasticci. Ho sempre desiderato far controllare i livelli testosteronici del mio organismo, in realtà. Disegnavo e scrivevo senza sosta; forse, le uniche due dimensioni in cui mi ricongiungevo con la porzione più sensibile della mia personalità in costruzione.
Alle medie capii cosa si esperisce in un corpo ed una mente di adolescente femmina; questo, unitamente al fatto di aver tastato con mano quali fattori venissero implicati nella condizione di potere alla forza psicofisica che soggioga i più deboli. Dall’indifferenza nutrita per le fanciulle alla loro animosa difesa, dall’abbattimento delle barriere donnauomo al desiderio di riappropriazione della propria condizione biologica.

Ad un attento esame (e se mi limitassi alle bislacche spiegazioni psicoanalitiche) dovrei prendere atto che provassi una tale invidia del pene, da:
  • amare alla follia mio padre; oggetto sessuale non unicamente finalizzato al piacere;
  • odiare alla pazzia mia madre; colpevole di avermi creata senza pene;
  • calcolare le modalità e le tempistiche per appropriarmi del pene di mio padre al fine di copulare con mia madre (la meta principe della pulsione sessuale naturale), nonostante la detestassi poiché rivale per il possesso del pene di mio padre.
Ora, tutto ciò conduce a dire che io bambina, frustrata dalla constatazione di non possedere il pene, abbia voluto emulare la condizione maschile impossessandomi di comportamenti ed atteggiamenti tipici "della categoria". Che poi s’incunea un dubbio: se possiedo mamma con un pene che non è quello di papà, è da considerarsi adulterio? Oppure va bene uguale poiché “è l’intenzione quella che conta”? Se non fosse un ragionamento circolare, forse reggerebbe anche.
Conoscere per abbattere, dicono.

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