Capita spesso che mi venga fatta notare una mancanza di spensieratezza e spontaneità all'interno delle relazioni umane, quel "lasciarsi andare" tanto osannato che piace alle nuove generazioni. Consapevole del gap, non posso che proporne un'interpretazione, un'idea che possa arricchiersi di nuovi tasselli ogniqualvolta una persona mi dia modo di ragionarci, osservandola dalle più svariate prospettive.
Per formazione, sono portata a coltivare la peculiarità che governa un individuo che si appresti alla pratica della psicoterapia. I manuali, nonché la vita professionale, ti richiedono di comprendere senza mai invadere il territorio del giudicare, di essere empatico ma allo stesso tempo imparziale, immancabilmente presente ma poco esposto, aperto all'ascolto ma con un orecchio rivolto alla tua individualità. Viene chiesto, in soldoni, di sapersi dosare. O come adoro pensarla io, di ridimensionarsi in funzione dell'unicità altrui. Ed è complesso, a volte persino frustrante e sminuente, perché porta a domandarti cosa rimarrà di ciò che sei se sistematicamente ti comprimi per lasciare posto all'altro. Se ogni tuo riconfigurarti non sarà dannoso sul lungo periodo, se avrai mai il bisogno ed il coraggio di parlare di te stesso, se le molte sfaccettature della tua persona formino, in realtà, un tutto coerente ed omogeneo. L'eventualità di dissolversi, poiché smarriti entro le più diverse sembianze, obbliga a schermarsi. E quando ciò si trasforma da uno stato transitorio ad un tratto stabile del carattere, i giochi sono bell'e che conclusi. A prescindere da chi ti siede davanti e dal problema che pone alla tua attenzione, verrà poi naturale l'esserci ed il non-esserci, contemporaneamente.
Con tutte le limitazioni del paragone, è come se fossi il secchio che raccoglie il rigurgito altrui sotto forma di parole e pensieri disfunzionali. Ma quel recipiente ci sarà solo nel caso in cui venga preparato; al contrario, il tutto si disperderà in ogni angolo, diventando invalidante. In questo eterno processo di riempimento-svuotamento, un ruolo cruciale viene svolto dal cosiddetto "pelo sullo stomaco", ovvero dall'attitudine a resistere alle peggiori esperienze possibili. Ancora, è utile pensare che nella pratica psicoterapica possa intervenire un qualche fenomeno di lieve discontinuità della coscienza, questo funzionale a creare una barriera tra sé e l'esterno. "Dissociarsi" non sempre è patologizzante; talvolta, infatti, può contribuire ad una sana difesa dell'organismo pensante. Per esempio, nei casi di numbing emozionale si esperisce una sorta di ottundimento emotivo che protegge dalla stimolazione esterna, consentendo alcuni comportamenti semi-automatici, nonché provocando un'accelerazione dei processi mentali.
Può sembrare che io sia assorta e non particolarmente presente, concordo, ma non bisogna però dimenticare cosa implichi, da parte mia, il pieno affondo in una dimensione che non mi appartiene. D'altro canto, questo non avviene indistintamente bensì in misura più o meno intensa a seconda dell'interlocutore. Perché se un amico racconta di sé, per quanto ci si sforzi di schiacciare il coinvolgimento emozionale sotto le suole delle scarpe, il risultato sarà sì buono eppure mai sufficiente. Per esempio, a volte capita mi accorga di essere troppo "dentro", altre invece di non "starci" affatto. Soprattutto a posteriori, quando ripenso alle dinamiche delle conversazioni avute.
Con le persone che ami è sempre tutto più difficile, per infinite motivazioni. Per le aspettative che hanno nei tuoi confronti, per l'investimento fatto, perché più sanno e più riescono comunque a fraintendere, per la volontà di ricambiare, per il timore tu ti possa allontanare, e via così. Vivi le relazioni con la consapevolezza che la neutralità che ti riempie e sostiene potrebbe essere meravigliosa, ma che tuttavia potrebbe anche concorrere a sfasciare l'intero rapporto. Ciò nonostante, non puoi che limitarti a dire che questo sia il pedaggio per accedere alla propensione mentale che incanala a diventare un buon professionista. L'incertezza delle mie stabilità in cambio del desiderio che induce l'altra persona a rendermi partecipe della propria vita. Poi beh, la convinzione che le persone ti cerchino solo "quando ne hanno bisogno" non sempre credo sia così negativa, anzi; semplicemente, andrebbe compresa. Le persone non cercano uno psicologo nel momento del bisogno, figurarsi in quello del non-bisogno.

Desidererei chiudere con un aneddoto. Lunedì ero in caffetteria, in università. Mi si avvicina il tecnico che gestisce la manutenzione delle macchinette e, tra una parola e l'altra, mi chiede: "Greta, può una persona che ci abbandona nei momenti brutti meritare di starci vicino in quelli belli? Perché quando le situazioni diventano un po' meno magia e cose meravigliose ti lasciano da solo?" Che dire, ho percepito tanta di quella sofferenza che se avessi potuto incidere l'atmosfera con una lama questa avrebbe pianto dispiacere e sconforto a non finire.
Davvero. Non c'è un momento peggiore di quello in cui vorresti pensare a qualcosa da dire, ma realizzi di non aver tempo a disposizione per farlo.
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