Poco tempo fa ho terminato la lettura critica del Kama Sutra, il codice dell'amore indiano che raccoglie molti contributi in materia d'amore (ma non solo) e che derivano da diversi autori dell'antichità. Esso infatti prende in esame le modalità che permettono di diventare un buon cittadino, oltre che ad occuparsi della definizione degli standard che regolamentano la vita di coppia. O meglio, di coppia allargata. Questo perché, non a caso, la cultura indiana è portatrice della pratica della poligamia; volendo specificare, del culto autoalimentantesi della poliginia. L'uomo, pertanto, s'intrattiene con più mogli le quali detengono un pressoché medesimo status: di casta, innanzitutto, ma anche d'istruzione e di predisposizione alla vita di società. Se apparentemente questo può essere considerato un vantaggio nonché "uno spasso", sulla scia del pensar comune, più in profondità non sempre al maschio veicola giovamento, sia dal punto di vista fisico che mentale. L'istituzione del matrimonio impone sì vincoli ed obblighi morali alla donna; tuttavia, le lascia un ampio grado di libertà in termini di scelta intra-relazionale. Dal testo:
"E' difficile conoscere le donne nel loro vero aspetto, per quanto possano amare gli uomini, o essere indifferenti verso di loro; per quanto possano amarli o abbandonarli o privarli di tutte le ricchezze che possiedono".Tengo a precisare che non è la mia finalità quella di dare all'articolo un'accezione sessista, maschilista o femminista che sia. Limitatamente alla fonte a cui mi riferisco, infatti, e nonostante si presupponga essa implichi un assoggettamento dell'entità donna al volere dell'entità uomo, posso dire di non aver riscontrato eccessive disparità in funzione del genere. Quello che appare essere uno sbilanciamento a favore dell'una oppure dell'altra polarità, in un determinato caso, viene riequilibrato a proprio svantaggio in una situazione prototipica successiva. Sembra che sia proprio questo bilanciamento compensatorio inculcato a suon d'insegnamenti a rendere i rapporti uomo-donna pressoché stabili e duraturi nel tempo. Inoltrandomi nella lettura, mi sono spesso chiesta se una tale modalità di gestione dell'amore non tendesse a frantumare l'ingenuo e spontaneo primo accesso all'esperienza relazionale. Invero, fermo considerando l'amore alla stregua di una delle svariate discipline da apprendere nel corso della maturazione individuale, la concretezza dell'applicazione di norme riesce ad aggiungere un qualcosa di significativo alla concezione di fondo? "Vivere imparati" è realmente funzionale alla persona, in sede d'innamoramento? E pensare che persino un sentimento come la gelosia, viene regolamentato. Dal testo:
"Quando vi sono molte altre mogli oltre lei, la più anziana deve fare amicizia con quella che viene immediatamente dopo di lei per posizione ed età, e deve istigare la moglie che ha per ultima goduto dei favori del marito a litigare con la presente favorita. [...] Qualora accada che la favorita litighi con il marito, la moglie più anziana deve dare ragione a lei, incoraggiandola in modo da far ingrandire il litigio e ogniqualvolta una piccola lite divide i due, ella deve adoperarsi affinché la divergenza acquisti proporzioni sempre più grandi".Di certo, nulla a che vedere con la mia (occidentale) idea di gelosia, la quale non credo sia tanto da intendersi come questione di preteso possesso, bensì di rispetto nei confronti del vincolo mentale che connette due persone. Un patto, se vogliamo, che impegna ad essere mutuamente coinvolti e che regge fino a quando all'uno siano sufficienti il supporto, l'amore e la vicinanza dell'altro.
Rimarrebbe ancora molto da dire, come sempre accade laddove vengano affrontate letture estremamente stimolanti. Per concludere, non rimane che porsi un interrogativo in grado di circoscrivere e riassumere l'intera riflessione: se amare è "avvertire il simile nel dissimile" (Adorno, 1951), quale insegnamento mai potrebbe rendere la persona in grado di percepire questa sottile discrepanza?
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