lunedì 15 settembre 2014

AAA stuzzicadenti cercasi.

Ci sono frasi con un potere tale da aggrapparsi agli speroni del tessuto interiore, rimanendovi ciondolanti e beate sino alla fine dei giorni. Scomode, fastidiose come il pezzetto di cibo rimasto intrappolato fra i denti che invano t'ingegni a rimuovere. Concatenazioni di parole che fanno leva sulla peggiore minaccia che esista all'integrità del Sé: l'aspettativa. È strano che ancora non ne abbia parlato; ammetto che sia un tema particolare, il terreno di una battaglia personale che combatto da tempo. Inoltre, dal momento che sarebbe necessario un umore in accordo con il tono dell'argomento, ovvero nero, il grigiume del periodo (vedi Monocromia) non sembra essere sufficiente per parlare di aspettative in modo completo.
Tornando a noi, un aneddoto, grazie. Il giorno in cui la mia cagnolina passò ad altra vita (avrò avuto all'incirca 9 o 10 anni) i miei mi dissero: «Non piangere, tra un po' ne prenderemo un altro». A prescindere dal fatto che la promessa sia stata o meno mantenuta e che volessi o meno un altro cane, l'importanza rivestita da quelle parole ne ha reso possibile il ricordo, a dodici anni di distanza. E non nelle vesti di qualche parola detta ad una bambina che necessitava di conforto, bensì sotto forma di posticipazione del dolore. Perché io avrò pur smesso di lamentarmi nell'immediato, al suono di quella frase, eppure il pensiero di un'aspettativa distrutta non ha che continuato a rimbombare nella mia testa. Che ne fossi solo in parte consapevole può ben darsi ma, come ormai si crede, l'agire non viene unicamente determinato dalle componenti coscienti.
Fateci caso: quando l'interlocutore manifesta le proprie debolezze, che siano sotto forma di rabbia, dispiacere, angoscia o disperazione, l'unica maniera in cui sappiamo muoverci al fine di tirarcene fuori è procrastinando. Perché il miglior modo per ignorare il presente è parlarne al futuro, non è forse così? «Passerà presto», «tornerà da te», «recupereremo», «andrà meglio», «dimenticherai». Tuttavia, non basta proiettare nel domani laddove tutto rimanga comunque ancorato all'oggi: ognuna di queste frasi, ed è qui che risiede la spiazzante malvagità di cui spesso si tinge il linguaggio umano, implica un «aspèttatelo». E da bambina, adolescente, giovane donna quale sei non puoi che ricamare la maglia della tua vita con il ferro dell'aspettativa.
Ci sono frasi che più di altre sono sbagliate perché di sbagliato hanno anche il momento in cui vengono dette; frasi per le quali viene da chiedersi se sia un bene considerare il linguaggio la "sorgente dell'Io".

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