mercoledì 22 maggio 2013

E tu, che fobico sei?

Rileggendo, mi sono accorta di aver scritto un articolo non proprio nelle mie corde; eccessivamente glassato di miele. Nonostante questo, credo costituisca un buon punto di partenza rispetto a ciò di cui vorrei parlare oggi, anche perché non prendersi troppo sul serio è l'unico modo per evitare il rischio di rimanere senza nulla da dire.
Nel precedente articolo ho infatti affermato quanto sia essenziale strutturare dei legami duraturi lungo il cammino che conduce al quieto vivere, soffermandomi sull'importanza dell'Altro in termini sia fisici che rappresentazionali. Ma qui mi sono arenata, come se avessi voluto trasmettere al lettore l'idea di un'inequivocabile condizione tutto-o-nulla. In psicologia spesso è così, parliamo per fenomeni prototipici avendo dalla nostra i costrutti di base sui quali successivamente andranno costruite delle teorie, con la speranza queste siano generalizzabili rispetto ad un campione di riferimento. Il limite è però quello di travisare i risultati, di mescolare i soggetti e gli oggetti delle ricerche, vanificandone l'essenza primaria. L'entusiasmo nel voler spiegare un qualsivoglia fenomeno incalza l'errore a venirci a cercare ed il più delle volte questo ci trova, spiazzandoci.
Stabilire relazioni non è lineare come magari è apparso leggendo l'articolo che ho pubblicato qualche giorno addietro, anzi. Stabilire relazioni è un meccanismo complesso a cui la biologia riserva un solo piccolo aiuto, ossia la predisposizione a costruire legami di scopo che sono, per esempio, finalizzati alla riproduzione, alla cooperazione o al mantenimento di gerarchie ben precise. Ancora, "rapporti amichevoli" non significa "rapporti d'amicizia", così come "rapporti amorosi" non significa "rapporti d'amore". Il problema, se vogliamo, è che una relazione andrebbe letteralmente ingozzata di risorse sino quasi all'implosione; resa tanto pesante sarebbe poi difficoltoso sradicarla dal terreno. Eppure, è molto facile dimenticarsene e lasciare deperisca fino a spegnersi. Se mantenere rapporti è un compito così disastroso quando le persone sono in salute, si pensi alle possibili ed ancor più deficitarie declinazioni laddove le persone siano pazienti. Spesso risulta irrealizzabile un qualsiasi tentativo di costruzione di legami, ma non per volontà, bensì per oggettiva incapacità di cimentarsi nel nuovo. Per esempio, penso ad un paranoide (DSM-IV-TR, Disturbo Paranoide di Personalità, gruppo A: strano/eccentrico) che oscilla tra sospettosità ed ira funesta, oppure ad un narciso (DSM-IV-TR, Disturbo Narcisistico di Personalità, gruppo B: amplificativo/imprevedibile) che si barcamena fra la grandiosità ed uno stato di vuoto distanziante, entrambe condizioni in cui non può esserci nessuno oltre che lui. Cosa ci azzecca tutto questo con quanto lasciato intendere dal titolo? Molto ed anche molto poco. Di seguito proverò ad argomentare.
La psicologia cognitiva post-razionalista individua due tipologie di fobici o meglio, per essere più precisi, due condizioni pre-morbose che predispongono la persona allo sviluppo di una fobia. Se dal punto di vista descrittivo, ossia da DSM, le fobie appartengono alla classe dei disturbi d'ansia, dal punto di vista esplicativo, siamo invece chiamati a distinguere i disturbi d'ansia da quelli specificamente fobici. Dipendenti vs. autonomi, una terminologia che travalica il significato comunemente riservato a queste due sfaccettature di un'unica dimensione. Nutro una particolare simpatia per gli autonomi e voglio quindi provare ad isolarne l'aspetto relazionale, definendo quale ruolo rivesta l'Altro in un individuo così strutturato. Tralasciando le cause che pilotano l'organizzazione di conoscenza a volgere in questa direzione, prendete per buono che siano due le polarità principali: l'autonomo è "forte", l'autonomo è "solo". Forte nel senso che si è ben presto trovato a fronteggiare delle situazioni complesse per le quali ha dovuto maturare fermezza di carattere; cavarsela sempre e con assoluta freddezza, porsi e raggiungere obiettivi concreti senza che il dominio emotivo interferisse con il fine. Solo nel senso che ha precocemente appreso in che misura le persone possano essere inaffidabili e quanto l'averne bisogno non possa che allontanare dai risultati sperati. L'indipendenza, coltivata a partire dall'adolescenza, viene resa una compagna di viaggio fedele nella propria solitudine, mentre al contempo gli altri non fanno "né caldo né freddo" e di rado arrivano a toccare la sfera del sentimento. L'attivazione emotiva è pressoché compressa e viene inghiottita ogniqualvolta emerga in modo eccessivo (se di eccesso si può parlare). L'autonomo è schermato contro la costrizione dei legami, non resiste ai vincoli di fedeltà, blinda l'accesso all'Altro. Finché vive nella sua libera e forte solitudine è compensato, stabile, equilibrato. Ma cosa accade quando l'ambiente (interno o esterno) invalida anche una sola delle due polarità? Come reagisce il sistema quando sente minacciato, compromesso, uno dei suoi scopi più importanti? Ansia, paura; l'esordio fobico. L'individuo che ha un'immagine di sé come persona forte ed invulnerabile può cadere in scompenso laddove divenga realmente consapevole delle proprie mortalità e debolezza. E' per esempio il caso di malattie fisiche o di incidenti stradali, i quali minano in modo diretto la convinzione di essere al di sopra della comune fragilità che caratterizza l'essere umano. Ancora, a destabilizzare sono tutti quegli eventi che coinvolgono la condivisione di una vita con l'Altro, come per esempio un fidanzamento oppure l'inizio di una gravidanza. In casi come questi, il soggetto si sente colpito nell'idea che ha di sé come persona sola ed emancipata, una condizione maturata a partire dalle prime relazioni infantili, entro situazioni in cui ha appreso a contare unicamente sulle proprie capacità. Non sorprende che nella scelta dell'oggetto sessuale prediliga storie brevi e poco intense, che spesso ne mantenga in piedi più di una, che non appena si senta troppo coinvolto si dia alla fuga. Il pericolo e la minaccia sono pervasivi, generano ansia, inducono un'attivazione emozionale che l'autonomo non può gestire né rappresentarsi mentalmente; ecco perché indietreggia dandosi alla macchia, sparendo senza lasciare traccia se non il profumo del suo transitare.
Ora, signori, resta un problema. Spiegate voi alle persone che vorrebbero costruire un legame significativo con un tale individuo che questi non può perché fobico. Un fobico autonomo.

2 commenti:

  1. Ciao! mi sono imbattuta per caso nel tuo pezzo e mi ci sono ritrovata. Ebbene, suppongo di essere una fobica "autonoma".
    Se ti può interessare, ne ho parlato in questo post:
    https://linwonderland.wordpress.com/2015/11/23/sulla-paura/
    Io però più che darmi alle relazioni brevi, tendo ad evitarle da principio fissandomi "platonicamente" su soggetti che in realtà già so essere evitanti ed inaffidabili, quasi a voler inconsciamente auto-boiccottare qualsiasi "vera" relazione.

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    1. Ho letto ed apprezzato il tuo articolo. La costruzione fobica è senza dubbio una tra le organizzazioni personali più affascinanti di cui mi sia capitato di apprendere. Perché? Perché il fobico vive di anticipazione, di pensiero; di calcolo. Tanto da chiedersi se, in realtà, viva davvero.

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