Non puoi che ripetertelo, ogniqualvolta ti trovi nel mezzo di una relazione work-in-progress. Frasetta interessante poiché applicabile sia ad un "io" che ad un "tu", con la differenza che nel primo caso rimane pressoché inconsapevole ed auto-diretta, mentre nel secondo iperconsapevole ed etero-diretta.
Nel cammino che conduce alla costruzione di un legame significativo, l'individuo tende a ponderare la quantità e la qualità delle risorse da investire, nel tentativo che risulti possibile bilanciare i contributi provenienti da entrambe le parti. Una vana speranza; non succede quasi mai. E questo perché le motivazioni alla base del legame stesso sono impari, di rado sovrapponibili, e rispondono a alle necessità dell'individuo che le coltiva dentro di sé. Vero è che si riesce ad esser soli all'interno di una relazione, che la superficie è comune e condivisa mentre il baratro specificamente differenziato. In età adulta, ciascuno vive i legami di attaccamento* in linea con quelli strutturati nei primi anni di vita; permane infatti una certa stabilità, nonostante le esperienze influenzino il corso dello sviluppo. Nella ricerca di un Altro che ti completi (e non esclusivamente entro un legame di coppia) vengono messi in atto alcuni comportamenti di attaccamento a seconda dell'età: se da piccolo piangi e ti avvicini gattonando alla mamma, quando sei più grande chiami al telefono e spedisci fiori alla ragazza che vorresti conquistare. Dalle modalità comuni alle più bizzarre, l'idea di fondo è destare l'attenzione, rendersi uno stimolo saliente (vedi L'amore?), fare in modo che un interlocutore considerato essenziale non vanifichi gli sforzi. In questi casi, "prevedibilità" è la parola d'ordine; quanto meglio sarai in grado di anticipare il comportamento dell'altro e meno fatica farai ad abituartene. Il rifiuto genera un minor numero di problematiche se confrontato con l'ambivalenza, in quanto non riuscire ad intuire gli atteggiamenti di una persona importante destabilizza, costringendo all'insicurezza sistematica.
Non permettete che questioni irrisolte svolazzino libere nell'aria o a lungo andare vi soffocheranno nella misura in cui prima vi aiutavano a respirare. "Attaccarsi" è un'esperienza meravigliosa; dà la percezione di contatto viscerale, di comunanza ed al contempo di individualità. Sono convinta che vivere sia accumulare legami affettivi ed imparare a farli coesistere, spesso essendone alla mercé, altre volte determinandone direttamente l'espressione.
Parlare, parlare ed ancora parlare. A che scopo, mi dico, quando poi è la comunicazione trasmessa attraverso le emozioni ad ergersi a matrona dell'universo relazionale umano per tutto il corso dell'esistenza.
* Teoria dell'attaccamento di John Bowlby. Gli esseri umani manifestano una tendenza innata a cercare la vicinanza e/o il contatto di uno o più individui, "dalla culla alla tomba".
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